LA GIUSTIZIA
E I SUOI FONDAMENTI TEOLOGICI
I profeti
hanno il compito di ricordare che la terra con tutti i suoi beni è concessa da
Dio agli
uomini in equa misura. Essi devono farsi difensori dei diritti dei poveri e
degli emarginati contro prepotenti ed accaparratori.
Secondo la
tradizione vetero-testamentaria “La terra è di Dio”, ciò significa che è stata
concessa a
tutto il “suo popolo”; e il popolo si
identifica proprio attraverso questa sua proprietà, per questo, una situazione
diversa deve essere considerata anomala e
quindi da
modificare.
I difensori
della proprietà privata, quella stessa di cui Marx diceva che: “l’economia parte dal fatto della
proprietà privata, ma non la spiega”
Hanno dovuto
fare i salti mortali per eludere una tradizione così chiara, così costante e
fedele alla Sacra Scrittura. Comunque siano andate le cose storicamente e
teologi-
camente,
nessun artificio e nessuna cavillosa astuzia teologica ha potuto alterare la
chiarezza della dottrina espressa dai “Padri della Chiesa”:
“Dio ha
voluto che questa terra fosse possesso comune di tutti gli uomini e a tutti
offrisse i suoi prodotti; è stata l’avarizia a
spartire i diritti di possessione ( avaritia
distribuit iura possesionum )…….” S. Ambrogio
e ancora:
Iustitia est
in subveniendo miseris (= aiutare i miseri è un atto di giustizia )”
S. Agostino ( De Trinitate )
Ma nessuna
legislazione umana sembra tanto chiara ed eloquente in materia quanto
quella usata
per regolamentare l’ “anno sabbatico”, ( in Es. 21,22;23, 10s; Lev. 25,
1-7, 34s.43;
Deut. 15; 1-18; Ez. 46,17; Macc. 6,49;53 ) e quello “Giubilare” ( es. Lev.
25,8-55;
27,17s; Num. 36,4; Is. 61,1s ). L’ anno sabbatico così consisteva nel dare ogni
sette anni un “riposo” alla terra, e tutti i debiti contratti verso un amico o
in ge-
nere quello
che si definiva “prossimo” venivano condonati. Di conseguenza dovevano
essere
affrancati tutti coloro che per debiti fossero caduti in schiavitù. Così si
rispet-
tava la
volontà di Dio: “Non ci sarà tra voi alcun indigente o mendico” (Deut.15,
2-4).
L’ anno del
Giubileo, che ricorreva ogni cinquanta anni, consisteva in una redistribu-
zione delle
terre che per qualche motivo avevano cambiato proprietario. Le sciagure o
le
negligenze, a causa delle quali qualcuno aveva perso la sua parte di terra
affidata-
gli da Dio,
non ricadevano sulla generazione successiva: “Nell’anno del Giubileo cia-
scuno tornerà nei suoi possessi” (
Lev. 25,13 ).
D’altra
parte è da osservare che per l’originale biblico l’atto che in occidente
chiamia-
mo
“elemosina” è la restituzione che una persona fa di qualche cosa che non è sua.
E questo i
Padri dei primi secoli cristiani lo videro con estrema chiarezza:
“Dimmi donde
proviene la tua ricchezza? Da chi l’hai ricevuta? E chi te l’ha data?
Dal nonno o dal bisnonno risponderai. Ma
riusciresti, risalendo l’albero genealogico,
a dimostrare la giustizia di quel possesso?
Certamente no: il principio e la sua origine
nascono sicuramente dall’ingiustizia.” Giovanni Crisostomo
.
“Si chiama
ladrone colui che spoglia chi è vestito: perché non chiamare diversamente
colui che non riveste chi è nudo pur potendo
farlo? Il pane che hai è dell’affamato, il
vestito che hai nell’armadio è di colui che è
nudo, la scarpe che ti si stanno rovinando
in camera sono di uno che è scalzo, il denaro
che tieni nascosto è del bisognoso”.
Basilio
“Non dire
che regali al povero una parte del tuo, gli restituisci una parte del suo”
Ambrogio
“Giustamente
si dice: con la ricchezza ingiusta, perché ogni ricchezza deriva dall’ingiu-
stizia, non si può trovare se non ciò che
l’altro ha perduto. Perciò mi sembra verissimo
quel proverbio comune: il ricco o è ingiusto o
è erede di un ingiusto”.
Sembra,
almeno per coloro che si professano credenti, che la voce di Dio si sia levata
per bocca
dei suoi profeti contro le empie sacrileghe e fratricide violenze ed espropria-
zioni,
risuonando dura ed inesorabile:
“Guai a voi
che aggiungete casa a casa/e unite campo a campo/finché non vi resti
più spazio/e voi restiate ad abitare/nel mezzo
del paese./Ho udito con le mie orecchie
il Signore degli eserciti: di certo, tanti
palazzi diventeranno una desolazione,/grandi e
belli, ma senza abitanti” ( Is. 5,8s)
“E ora a
voi, ricchi! Piangete e lamentatevi per le sciagure che stanno per venire su di
voi. Le vostre ricchezze vanno in malora e i
vostri abiti sono mangiati dalle tarme.(…)
Voi non avete pagato gli operai che mietono
nei vostri campi: questa paga rubata ora
grida al cielo, e le proteste dei vostri
contadini sono arrivate fino agli orecchi di Dio, il
Signore Onnipotente. Voi avete vissuto quaggiù
sulla terra in mezzo al lusso e ai pia-
ceri sfrenati: vi siete ingrassati come bestie
per il giorno del macello. Avete condannato
e ucciso
persone innocenti che non hanno
La proprietà
privata sembra essere quindi un “furto” legalizzato, istituzionalizzato,
canonizzato.
Oltre alla questione “de facto”, esiste la questione “de iure”: la proprietà
differenziatrice
non potrebbe e non può esistere se non mediante la violenza e la spo-
gliazione, e
quindi non si può avere una legittima proprietà differenziatrice.
Ci pare per
questo utile, a scopo esemplificativo, riportare integralmente un brano
tratto dalle
omelie di G. Crisostomo, ricco di spunti meditativi e di significative
asserzioni:
Tu dici:
finché non si fa il male non si è cattivi anche se non si compie il bene.
E non è forse un male possedere da soli i
beni del Signore, godersi da soli ciò che
è comune a tutti? Non è di Dio la terra e
quanto essa contiene? Se dunque i nostri
beni sono quelli del nostro comune Signore,
sono anche quelli dei nostri compagni
di servizio, poiché tutto ciò che è del
Signore è comune a tutti. I beni necessari ci
sono comuni; noi però non rispettiamo lo
spirito di comunione neppure in quelli
insignificanti. Ora Dio ci ha dato i primi
proprio per insegnarci ad avere in comune
gli altri, ma noi nemmeno così abbiamo capito
la lezione…
Come può essere buono chi è ricco? Non è
possibile; è buono solo se da agli altri.
Quando non
ha è buono; quando dà agli altri è buono; finché ha non può essere
Pensiamo che
la lettura di questi spunti meditativi possa offrire una valida occasione
di
riflessione su temi etici e religiosi di grande importanza.
L’indicazione
più immediata che possiamo globalmente trarre dall’esame critico dei
brani
riportati, potrebbe essere quella di prestare una maggiore attenzione ai problemi
di ordine
etico e religioso per chi si professa credente.
In
particolare l’invito è rivolto proprio alle coscienze dei “credenti”; molte
sono le loro
“colpe
storiche” e molti i peccati di “omissione”, ma il peccato più grave è stato
proprio
quello di
aver sostituito ai valori biblici ed evangelici primitivi, quelli
“secolarizzati”
( terreni e
materialistici ) che spesso inconsapevolmente sono stati interiorizzati al
punto da
renderli parte integrante del loro “agire nel mondo”. Sarebbe necessario,
quindi,
comportarsi da “vergini sagge”, vigili ed attente alla voce dello spirito ed a
quelle dei
suoi profeti di ogni tempo e luogo. Paolo VI° nella “Populorum Progressio”
citando S.
Ambrogio commenta:
““è come
dire che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizio-
nato ed assoluto. Nessuno è autorizzato a
riservare a suo uso esclusivo ciò che supe-
ra il suo bisogno quando gli altri mancano del
necessario”.
Questo
proprio in virtù della specificità del “Dio cristiano”, che essendo “l’Eterno”,
non
ha ancora
finito di parlare all’uomo, ed essendo “l’Immenso” non ha un solo modo di
manifestarsi.
Dio, Eterno ed Immenso, non è determinato, ma sempre aperto alla
comunicazione
con l’uomo.
C. Marx in “Manoscritti”, 1844
vestito: perché non chiamare diversamente
colui che non riveste chi è nudo pur potendo
farlo? Il pane che hai è dell’affamato, il
vestito che hai nell’armadio è di colui che è
nudo, la scarpe che ti si stanno rovinando
in camera sono di uno che è scalzo, il denaro
che tieni nascosto è del bisognoso”.
Basilio